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Come i regimi arabi finanziano la guerra di Israele contro Gaza

novembre 19, 2023

www.resistenze.org – osservatorio – mondo – politica e società – 13-11-23 – n. 881


Mohamad Hasan Sweidan | thecradle.co
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/10/2023

Gli Stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con Tel Aviv sono tra i principali finanziatori del complesso militare-industriale di Israele. Questi miliardi arabi confluiscono ora nella guerra insensata dello Stato di occupazione contro i palestinesi di Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania.

Nel corso della sua breve storia, Israele ha commesso atrocità sia contro il popolo palestinese che contro gli Stati arabi confinanti, spesso utilizzando sostanze chimiche vietate a livello internazionale, come il fosforo bianco che è stato impiegato contro Gaza e il Libano negli ultimi giorni.

Nella guerra in corso contro la Striscia di Gaza, lo Stato di occupazione gode di una notevole libertà di azione, grazie soprattutto al sostegno occidentale, in particolare di Washington, che si vanta di essere un campione dei diritti umani a livello mondiale. L’evidenza della politica dei due pesi e due misure dell’occidente è esemplificata da decenni di abusi e crimini di guerra documentati in Paesi come Iraq, Afghanistan, Vietnam, Siria, Libano e altri.

Ma non sono solo gli Stati occidentali a sostenere la funzionalità militare di Israele oggi. Un’analisi approfondita rivela che una parte significativa dei finanziamenti all’industria militare israeliana proviene ora dai Paesi arabi che hanno recentemente normalizzato le relazioni con lo Stato di occupazione. Chi sono dunque i finanziatori delle guerre di Israele?

La crescita dell’industria della difesa israeliana

Secondo un rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI), tra il 2018 e il 2022, la stragrande maggioranza – il 99% – delle importazioni di armi di Israele proviene da Stati Uniti e Germania.

Durante questo periodo, Israele ha importato armi per un valore di 2,7 miliardi di dollari, con la parte del leone – un sostanzioso 79% – proveniente dagli Stati Uniti (2,1 miliardi di dollari) e il 20% dalla Germania (546 milioni di dollari).

Va da sé che gli Stati Uniti sono di gran lunga i maggiori benefattori di Israele, avendo fornito 246 miliardi di dollari in aiuti militari ed economici dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 2016, l’impegno di Washington nei confronti di Tel Aviv è stato ulteriormente rafforzato sotto l’amministrazione dell’ex presidente Barack Obama con un memorandum decennale (2019-2028), con il quale si impegnava a fornire a Israele ben 38 miliardi di dollari in aiuti militari, pari a oltre 3 miliardi di dollari all’anno.

I diritti umani sembrano essere l’ultimo dei pensieri degli americani. Mentre i comportamenti israeliani peggiorano, gli Stati Uniti raddoppiano il loro sostegno incondizionato alla macchina da guerra israeliana e al suo progetto coloniale, che negli ultimi sette decenni ha causato la perdita di decine di migliaia di vite palestinesi.

Nel 2022, due anni dopo gli Accordi di Abramo mediati dagli Stati Uniti, che hanno normalizzato le relazioni tra Israele e Stati Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan, l’industria della difesa israeliana ha registrato un’impennata senza precedenti nelle esportazioni, per un totale di 12,5 miliardi di dollari, un record assoluto dalla fondazione di Israele 75 anni fa.

A farla da padrone sono state le esportazioni di droni, che hanno rappresentato il 25% di questo sbalorditivo totale, con un balzo significativo rispetto al 9% del 2021. Seguono a ruota i missili e i sistemi di difesa aerea, che rappresentano il 19% delle vendite di armi israeliane, mentre i radar e i sistemi di guerra elettronica contribuiscono per il 13%.

Gli Stati arabi finanziano l’economia di guerra di Israele

Un rapporto pubblicato dal Ministero della Difesa israeliano rivela i vantaggi finanziari che la normalizzazione ha creato per l’industria degli armamenti dello Stato di occupazione: solo nel 2022, il 24% (equivalente a 3 miliardi di dollari) delle esportazioni militari israeliane è stato destinato ai Paesi arabi che hanno formalizzato le relazioni con Tel Aviv. Un aumento notevole rispetto al 16,5% dell’anno precedente. Nel 2021, il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno rappresentato da soli il 7,5% (853 milioni di dollari) delle esportazioni di armi di Israele.

Dal punto di vista geografico, gli Stati arabi firmatari degli Accordi di Abramo sono il terzo gruppo di Paesi importatori di armi israeliane, dopo quelli dell’Asia-Pacifico (30%) e dell’Europa (29%).

Ciò illustra il ruolo significativo di questi Stati arabi come principali contributori del complesso militare-industriale di Israele e della sua economia. Sullo sfondo del coinvolgimento finanziario degli Stati arabi, tuttavia, c’è la preoccupante realtà che oltre 4.137 [11.500 al 16/11. n.d.t.] civili palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, sono stati uccisi e oltre 13.000 [29.000 al 16/11. n.d.t.] feriti in poco più di una settimana, con bombardamenti degli aerei da guerra israeliani su Gaza.

In contrasto con la complicità araba – e turca – che sostiene il settore militare di Israele, l’Iran è “l’unico Paese [dell’Asia occidentale] che sostiene la resistenza in Palestina a tutti i livelli”, come ha dichiarato Muhammad al-Hindi, vice segretario generale della Jihad islamica palestinese (PIJ). Questo sostegno risoluto ha probabilmente contribuito alla notevole vittoria strategica ottenuta di recente dalla resistenza palestinese, che non ha permesso a Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania di subire una seconda Nakba.

Una pietra miliare per la resistenza palestinese

Cinquant’anni dopo l’audace attacco a sorpresa del 1973 lanciato dagli eserciti arabi guidati da Egitto e Siria contro Israele, il 7 ottobre diventerà una data storica nella memoria. Questa data sarà significativa non solo per gli audaci avanzamenti militari palestinesi nell’Operazione Ciclone Al Aqsa, ma anche come il momento in cui le forze della resistenza hanno sferrato un colpo clamoroso all’egemonia occidentale, smontando l’immagine un tempo apparentemente inaccessibile del “potente Israele”. Nella regione, questo non si vedeva dal luglio 2006, quando la resistenza libanese, Hezbollah, vanificò ogni obiettivo militare di Israele nella sua guerra di 33 giorni contro il Libano.

Il volto di un formidabile Stato israeliano, finanziato e armato fino ai denti per salvaguardare gli interessi regionali di Washington, è stato smascherato per la prima volta in 17 anni. Oggi, un Israele molto più fragile, costretto a chiedere aiuti militari di fronte a fazioni di resistenza determinate, si è trasformato in un peso internazionale per i suoi sponsor occidentali.

Come ci si poteva aspettare, dopo l’Operazione Ciclone Al-Aqsa, Israele ha optato per una reazione brutale e sproporzionata contro la popolazione civile di Gaza, già abbondantemente colpita, invece di effettuare una rappresaglia mirata contro la resistenza armata.

Sono stati compiuti diversi massacri all’ingrosso, radendo al suolo interi quartieri palestinesi, ospedali e siti religiosi nella Striscia di Gaza assediata. Con l’intensificarsi di questi crimini contro l’umanità, non è più solo il mondo occidentale a fornire una copertura per i comportamenti illegali e sconsiderati di Israele, ma anche la collaborazione dei regimi arabi che hanno finanziato furtivamente il complesso militare-industriale dell’occupazione.

Il genocidio a Gaza potrebbe aver frenato per ora il progetto di normalizzazione di Stati Uniti e Israele. E forse le vendite di armi di Israele ai governi arabi sono state temporaneamente ostacolate perché Tel Aviv ha bisogno di queste armi.

Per coloro che attendono con ansia l’ingresso dell’Asse della Resistenza della regione in questa battaglia, l’obiettivo non sarà semplicemente la sconfitta di Israele, ma anche lo smantellamento di tutta la normalizzazione araba con lo Stato di occupazione. In ultima analisi, gli Stati arabi saranno chiamati a rispondere del finanziamento della guerra di Israele contro Gaza.

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